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”INSISTERE” (Venezia II)

Venezia
Ph. Riccardo Radi / Venezia

”INSISTERE” (Venezia II)

Con toni diversi (uno è cordiale, suadente, incoraggiante; l’altro, perentorio e secco come un ordine di servizio) due telegramma mi incitano ad “insistere” sull’argomento della settimana passata: Venezia. Avevo preso spunto dall’avvenuto completamento, in Egitto, delle ciclopiche opere d’ingegneria per salvare i templi della Nubia dalle acque del Nilo, e paragonavo quel successo di un povero Paese del Terzo Mondo, con la sorte di Venezia, per cui l’allarme internazionale si levò, poco meno di vent’anni fa, negli stessi giorni dei templi nubiani. Ora, dovrei “insistere”, ma a quale scopo? Insistere, forse, nel paragone finale, e rimenare il dito nella piaga di questa sovranità ormai inesistente, ridotta, direbbero i linguisti, a un puro fonema? Invocare l’intervento delle grandi potenze? Non tanto mi meraviglia la tenacia dell’affetto che questi messaggi rivelano: c’è una minima minoranza, in Italia, che trema e teme per Venezia come per un bene supremo di tutta la nazione. Mi meraviglia la fiducia, o, piuttosto, l’illusione che raddoppiare un intervento, triplicarlo, moltiplicarlo, valga a raddoppiare l’interesse, la difesa, la tenacia altrui. L’illusione che qualcuno ascolti le nostre parole, e che queste possano mettere radici più profonde in qualche testa. E dove? E chi dovrebbe ascoltarle? Le autorità? E dove sono? e quali? L’altro giorno è stata confermata in appello la condanna contro due esponenti comunisti della regione umbra, colpevoli di non aver impedito la frana della rupe corrosa su cui poggia Orvieto. Troppo comodo, mi son detto. Intanto, incolpare due persone sole per un’incuria che dura da una generazione. E poi, condannarle a qualche centinaio di migliaia di lire di ammenda. Tutto ciò è una buffonata incrociata di ingiustizie diverse.

Chi è responsabile di Venezia? Dopo anni di leggi, tavole rotonde e quadrate, riunioni, commissioni, convegni, articoli e chiacchere diverse, tutto sfuma in una fitta nebbia. Un nuovo ministro dei lavori pubblici o dei beni culturali potrebbe sgranare gli occhi: Venezia? Esiste dunque un problema di Venezia?

Oppure dovremmo scuotere i privati e mobilitarli per la crociata? Amici miei, ci siamo contati da tempo e l’esperimento non giova. Ci siamo contati, dico, e non faccio un discorso di partiti, sette, religioni. Dico di quelli che assistono all’ultimo smantellamento di ciò che fu lo Stato italiano con dolore e sdegno, e di tutti gli altri, cui non importa assolutamente niente, anzi, ne sono inconsciamente lieti. Badate, che non discrimino tra buoni e cattivi. Per me, questo traguardo moralistico è inutile, da un bel pezzo. Non mi arrogo neppure per scherzo la presunzione di essere migliore di un altro, perché la penso in un certo modo, e provo certe determinate reazioni. Stabilisco soltanto una differenza utile. E allora, dico che forse la vera Italia è la “loro”, e non la “nostra”. E’ l’Italia eterna, che lo Stato, la legge, l’ordine, le missioni collettive, imperiali, civili, retoriche, quel che volete, ha sempre scansato e schivato come la peste: che invece s’è arrangiata, ha coltivato l’orticello, ha migliorato la sua vita, badato ai suoi traffici, cercando d’incontrarsi coi pubblici poteri meno che poteva, E’ la vecchi Italia anarchica, inventiva, che s’arrangia e trova gl’inganni intelligenti, soli rimedi alle leggi assurde, ed evade le tasse, ché, altrimenti ci morrebbe schiacciata sotto. Che non tanto si augura il ristabilimento di un’autorità giusta, perché non ci crede e sa che resta, sotto queste lune, impossibile, quanto si rallegra che scompaia l’ingiusta autorità che conosce, e si augura che la scomparsa si completi il prima possibile.

Quale delle due Italie è migliore? la prima, del triste cipiglio sulle illusioni infrante ? O la seconda, con la sua squallida risata sulla comune rovina? Non saprei più dirlo. Quando scrivo, non mi faccio illusioni. Dico quello che sento di dover dire, perché una campana dà il suono che ha. Potete batterla fino a spezzarla, ma non le farete cambiare suono. Io suono, senza illusione di risvegliare qualcuno. Per quanto possa dispiacere la schiettezza, sono convinto che di questo sfacelo siamo pochissimi a soffrire. La maggior parte è felice, come in una vacanza, appena turbata da vaghi brontolii: ché a tanto si riducono le follie governative, le preoccupazioni per l’energia, gli aumenti delle tasse, l’inflazione, le esuberanze dei terroristi e dei rapitori. Si sa, a qualcuno tocca, finché non tocca a me. I briganti ci sono sempre stati, e così i principi pazzi, e ci siamo sempre arrangiati.

Ma non era mai successo che su una così diffusa e completa anarchia, aleggiasse un così dolce benessere, così inafferrabile, così privato e ostentabile allo stesso tempo. Va da sé, che in questo clima, per i grandi scopi collettivi come la salvezza di Venezia, non c’è posto. Perciò, la sua sorte mi pare segnata, senza rimedio. Ma ognuno pensa, che, tanto, accadrà domani, dopodomani, e noi non ci saremo più. Pensiero in cui sono mirabilmente concordi, i ministri di qualsiasi governo, e i cittadini.

Da In casa e fuori, “Il Giornale”, 18 aprile 1980